Sulle ali della libertà

dedicato a tutti gli animali fatti schiavi dall'uomo perché possano riconquistare la libertà....

tratto dal libro "Si fa presto a dire cane " 


“Non chiamatemi canarino, fringuello, pettirosso, cardellino, chiamatemi con il mio nome: “Piuma”, uccellino dal piumaggio variegato e colorato, nato per volare, non per stare in gabbia a morir di rabbia.
A che servivano le mie ali, se me ne stavo tutto il tempo a zampettare sul trespolo nella noia dei giorni tutti uguali, nel mio orizzonte limitato dalle sbarre di una gabbia. Quale colpa avevo commesso? Dicevano che “fuori” non avrei potuto sopravvivere, ma era in quella gabbia, in verità, che stavo morendo.
Il mondo per me non era aria, profumo di fiori, luce e brezza di vento fresco, era il buio, quando la mia gabbia veniva spostata dentro una stanza chiusa; era la puzza dell’arrosto nella casa dei miei carcerieri; era la confusione della città caotica; era il gatto che mi guardava allungando gli artigli; era il troppo sole d’estate e il freddo d’inverno; era il sadismo di chi mi teneva prigioniero per guardarmi, mentre cantavo di rabbia.
L’orizzonte là dentro era largo una spanna ed era fatto di case e cemento.
Un giorno, il mio carceriere umano prese la gabbia e la portò sul davanzale della finestra.
Un raggio di sole illuminò le mie piume asfittiche; non ero abituato a quella luce che mi stava accecando.
E poi, in una gabbia non è come star nel bosco dove si  può tro­vare un po’ d’ombra, preparare il nido e respirare il profumo di un fiore. I miei simili li vedevo volare nel cielo, scambiarsi garruli richiami, planare su nuvole soffici.
A volte li chiamavo: “cip, cip, cipì...”, ma loro nemmeno mi sentivano. Un giorno, però, un piccolo passero si fermò vicino alla mia gabbia a raccattare un semino di miglio caduto dalla mangiatoia. Mi guardò impavido.
“Cip, cipì, cip”…(come vorrei essere libero come te...), gli dissi cinguettando. Il saggio passero mi rispose: “La vita sta oltre un cancello che molti non possono aprire, ma il cancello non è come un muro, ci si passa attraverso...”
Ascoltai quelle parole che arrivarono dritte al mio cuore.
“Liberami piccolo passero!”, implorai, “apri questa gabbia e insegnami a volare.”
Il passero fece un balzo verso la gabbia e rimase appeso alle sbarre con le zampette, ma il suo giovane becco non riuscì a for­zare l’apertura.  
“Aspetta”, disse, “ora chiamo rinforzi.” Tornò dopo un attimo, seguito da una decina di giovani alati.
Tutte quelle ali impazzite si affannarono intorno alla mia gabbia cercando di aprirla.
Alla fine, dai e dai, la piccola apertura ferrata si aprì, ma avevo paura a passarci. Cosa c’era là fuori?
Le mie ali mi avrebbero sollevato in alto e non sapevo volare.
“Vola, vola...”,  incitarono gli amici piumati.
“Ma come si fa?”, dissi disperato,“io so solo zampettare”
Comunque, non potevo più aspettare, sarebbe tornato il padrone e mi avrebbe richiuso per sempre. Così, chiusi gli occhi e contai fino a tre, poi mi tuffai a peso mor­to fuori dalla piccola fessura aperta. Caddi, ruzzolando al di là della finestra sul cespuglio di una pian­ta.
Ero libero finalmente!
Il passero fu mio maestro, mi accolse nel suo nido, m’insegnò il volo nel bosco e la caccia agli insetti, ma anche a difendermi dai pericoli.
Ogni scoperta era esaltante, il mio animo era rinato.
Guardare il mondo da lassù, sentirsi liberi come il vento, lontano da quegli stupidi umani che avevano avvelenato l’aria e l’acqua, distrutto ogni cosa bella, imprigionato le creature libere.
Era solo di loro che dovevo aver paura, adesso.

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